giovedì 13 novembre 2008

Tiziana

Al ministro Gelmini

Nessuno crederebbe mai che a un abito basti dare una sforbiciata (o meglio una falciata) all’orlo, al collo, alle maniche, perché ne venga fuori un capolavoro di sartoria. Eppure dobbiamo credere a una favola simile su una questione che così da vicino ci tocca e ci riguarda: l’istruzione.
Forse una riforma è necessaria, cambiare perché le cose cambiano, ma prima di sfregiare il vestito vecchio, non sarebbe il caso non dico di chiamare Armani, ma almeno di sentire un bravo sarto?
Mi perdoni se uso questa provocazione per iniziare, ma essendo un’insegnante, la questione del tempo mi sembra cruciale.
L’Italia in cui si attuava una scuola di 24 ore, offriva tutta una serie di alternative educative. Famiglie allargate, comunità di adulti e anziani che si prendevano insieme la responsabilità di allevare i figli propri e altrui, e soprattutto la strada e lì imparavi lotte, amicizie o il rispetto, la lealtà, l’astuzia…
Quell’Italia non c’è più. Ora ci sono famiglie nucleari in cui si lavora entrambi per sbarcare il lunario, genitori lasciati soli e dunque fragili, figli rinchiusi in casa per timore a farli uscire in città poco sicure o sentite come tali e - per chi se lo può permettere - il corso di nuoto, di tennis o la tivù, se i soldi non bastano.
La società è più variegata e frammentaria: bambini che arrivano da lontano, famiglie che devono ricominciare da capo, campi rom, affidi, questioni delegate al tribunale dei minori…
A tutte queste vicende (e talvolta terribili ingiustizie) la scuola a tempo pieno fornisce alcune risposte, forse imperfette, ma importanti per i bambini: stare insieme, avere altre figure di riferimento oltre ai genitori, da cui essere seguiti (e, mi creda, anche amati) accedere a esperienze (i laboratori, lo sport, il teatro, le visite didattiche…) senza grossa spesa e senza distinzione tra ricchi e poveri.
Di disagio, estraneità, isolamento, debolezze sociali la scuola si è presa cura, magari male o non abbastanza, ma qual è l’alternativa? In Italia a parte qualche gruppo di matrice cattolica, chi altro andrà a riempire quel ‘tempo’ che il Governo vuole sottrarre alla scuola? Il bidello? La neolaureata assunta dalle cooperative, così viene pagata meno?
Questo tempo lungo ha dato modo a noi insegnanti e ai bambini di conoscerci, stabilire vicinanza, trasmettere saperi… Tempo prezioso che il lavoro già dimezza alla famiglia, giacché ritmi veloci aumenteranno pure la produzione, ma di certo non favoriscono pensiero, amicizia, creatività…
Questo tempo che evidentemente è ritenuto perso, superfluo o troppo caro - e non lo è - questo tempo non si dovrebbe tagliare.
Nella scuola dove insegno ci siamo occupati di quei problemi a cui accennavo sopra, avendo alunni da un Istituto, dal campo nomadi, da centri d’accoglienza…
Forse non abbiamo fatto abbastanza, eppure senza quelle dighe (fragili? forti?) con cui abbiamo tentato di arginare le emergenze, esse sarebbero ora più gravi.
E credo, avendolo sperimentato, che senza il modello di 40 ore, sarà difficile gestire tanti problemi, poiché anche i servizi sociali dei Comuni e i servizi socio-sanitari delle Asl sono ampiamente sottodimensionati in tutto il paese e non solo a Sud.
Certo i tagli porteranno velocemente entrate allo Stato, ma quanto costerà poi rimediare a questioni abbandonate a sé stesse e che non si sistemeranno da sole? Non paghiamo già provvedimenti precedentemente presi per mettere subito una toppa e lasciare ai posteri di curarsi della falla? La società va in pezzi, e la presa in carico di questa rovina continueremo a rinviarla come un’eredità molesta di cui nessuno vuole assumersi il peso?
Nel 1799 durante il tentativo di instaurazione di una Repubblica partenopea in cui nobili e intellettuali tentarono a Napoli una riforma radicale ai problemi educativi, il motto era “Ei venturi non immemor” ;‘Non dimentico chi verrà’. Il tentativo fallì, eppure non è proprio questa memoria rivolta al futuro che su tante questioni (non ultima quella ambientale) è mancata al nostro paese?
E parlando di Sud, sento sempre con dispiacere come, nella vulgata italiana, gli insegnanti meridionali rinviino immediatamente alle categorie di: assenteismo, scarsa serietà, salari immeritati…
Non sento mai parlare però (eppure ne ho conosciuti tanti) di tutta quella parte, nemmeno così sparuta, che esercita questo mestiere per passione, facendosi molte ore gratis et amore dei,occupandosi di quartieri degradati, togliendo i ragazzi dalla strada, contrastando la malavita, mostrando un’alternativa e battendosi tutta la vita proprio contro le cose di cui poi, e ingiustamente, viene accusata. E credo che di questa coraggiosa parte non si parli, perché è più facile denigrare quelle classi a cui vengono applicate misure ‘punitive’: riconoscerne i meriti renderebbe impervia la falciatura indiscriminata che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, e sui giusti di solito fa piovere di più… (sarebbe anche bello capire una volta le ragioni di questa stranezza meteorologica!).
Quanto il Governo vuole tagliare andrebbe invece potenziato: contrastare proprio nella scuola la semplificazione, il pensiero unico, quell’anestesia colorata che sono i programmi televisivi, mostrare una postura alternativa a quella supina, passiva che dopo forma il gregge, il branco, far fiorire la curiosità che è libertà, vastità di pensiero. Forse noi insegnanti non l’abbiamo fatto abbastanza, ma chi altro in Italia l’ha fatto?

Tiziana Verde
Ins. presso il IX Circolo di Modena

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