In questo periodo mi è capitato più volte di sentirmi chiedere: “Ma perché siete contrarie al ritorno del maestro unico? E’ comprensibile la difesa di posti di lavoro, ma sul piano della conduzione della classe cosa cambia?”
In effetti, non è facile spiegare la complessità di una situazione a chi non ne sia direttamente coinvolto, ma provo a individuare alcuni punti per aiutare chi ha voglia di capire.
I momenti di crisi, in fondo, sono anche occasioni di verifica, di confronto. Perché non coglierne l’aspetto positivo?
Comincio dal rapporto maestra/o – bambini.
Oltre al curricolo “formale” ogni insegnante porta con sé la sua storia affettiva e il suo bagaglio di conoscenze che trasmette quasi inconsapevolmente attraverso il linguaggio, lo stile comunicativo, il comportamento. Una classe di bambini che affronta un percorso di cinque anni merita di conoscere a fondo almeno due adulti. Se crediamo che compito della scuola sia insegnare a pensare e non insegnare un pensiero, la presenza di due insegnanti garantisce che non si incorra nell’equivoco di credere che l’unico pensiero possibile sia quello dell’unico insegnante.
Mi è accaduto più volte che un bambino o una bambina trovandosi a vivere momenti difficili – personali e/o familiari – abbiano sentito il bisogno di chiedere aiuto alle insegnanti. In questi casi, di solito la richiesta è arrivata ad una sola di noi, a volte a me, altre alla mia collega, quella che per qualche motivo il bambino individuava come la persona più vicina, o più in sintonia, o più affidabile.
Chi riceve una richiesta di questo tipo, risponde ovviamente con un forte coinvolgimento emotivo ed ha bisogno di confrontarsi con un’altra persona che conosce a fondo quel bambino e la sua situazione. Le risposte, personali e familiari, devono essere fondate su scelte ponderate, devono essere condivise. In genere abbiamo cercato di ottenere dal bambino l’assenso a informare anche l’altra insegnante. I bambini ce l’hanno dato, e aver fronteggiato in due il problema ha dato maggior respiro alla situazione.
Mettiamo che l’insegnante viva un periodo difficile a livello personale, e – anche inconsapevolmente – comunichi tensione, insoddisfazione, malessere ai bambini. Essere in due significa garantire un certo equilibrio, accogliere eventuali segni di disagio dei bambini, confrontarsi con la collega per superare le difficoltà.
Se invece è la classe ad attraversare un periodo di particolare agitazione, mettendo a dura prova la tenuta delle insegnanti, è molto efficace che i bambini si confrontino con la reazione delle due insegnanti che, seppur con modalità diverse, evidenziano la presenza del problema e la necessità di risolverlo.
Quanto al rapporto maestri – genitori, vale anche in questo caso quello che ho detto fino ad ora.
Due voci, due pensieri, due sistemi di valutazione, anziché uno, forniscono più elementi di comprensione, maggiori garanzie di oggettività, un giudizio più articolato. Tutto questo diventa tanto più importante quando non vi sia piena condivisione tra le due insegnanti e, in tal caso, le diverse valutazioni rendono conto delle diverse facce di un bambino.
Succede a volte che un genitore o entrambi vivano momenti difficili e chiedano agli insegnanti di essere aiutati a gestire la situazione con i figli (malattia o morte di un genitore, o di un parente; separazione o divorzio; problemi di lavoro ecc.). Essere in due a ricevere questa richiesta fa sì che il genitore non scambi l’insegnante per lo psicologo personale, e il colloquio scolastico per una seduta psicoterapeutica, ma sia consapevole che si sta confrontando con gli insegnanti di suo figlio. Quello che il genitore confida agli insegnanti serve solo per aiutare insieme il bambino.
Infine, il curricolo.
Tanto nel modello a tempo pieno, quanto nel modello a moduli a ciascun insegnante è affidato l’insegnamento di alcune discipline. In entrambi i casi la possibilità di “specializzarsi” consente una conoscenza più approfondita dei contenuti della disciplina e della didattica degli stessi. Tra conoscere una disciplina e saperla insegnare c’è una bella differenza! Allo stesso tempo il dialogo e lo scambio tra gli insegnanti (garantito da un tempo settimanale di programmazione) permette che gli ambiti trovino dei momenti di incontro. Solo per fare un esempio, se l’insegnante di italiano parla di dialetti, lo stesso argomento può essere trattato da chi insegna geografia. Affrontare i temi da più punti di vista, fa sì che si infittisca la rete delle conoscenze dei bambini.
Fin qui non ho parlato di compresenza. Nella mia esperienza di tempo pieno abbiamo due ore di compresenza alla settimana (altre due sono utilizzate per l’insegnamento della religione e dell’attività alternativa). Come le usiamo? Per uscite didattiche con la classe; per preparare queste o altri eventi particolari (feste, incontri, attività che hanno bisogno di una programmazione condivisa per essere seguite anche da una sola insegnante, secondo linee prestabilite); per attività a piccolo/medio gruppo (laboratorio di informatica, pittura…); per attività di recupero e/o consolidamento; infine per i “discorsi seri”, quando il gruppo, per problemi di comportamento, è chiamato a raccolta per una “strigliata” a due voci, oppure quando accadono eventi speciali che richiedano un momento di riflessione collettiva.
La scuola è un luogo dove relazioni e apprendimento vanno a braccetto, diventare “buoni” cittadini è una finalità precipua quanto quella di imparare a pensare, decifrare la realtà, costruirsi una capacità di giudizio, che sono ben altro dal sapere quante furono le guerre puniche.
Per far fronte a questo all’adulto si chiede autorevolezza e non autorità, servono capacità di mediazione e di ascolto e non di comando. Non serve “il prevalente”, tanto meno “l’unico”. Servono almeno due maestri/e in condizione paritaria che in prima persona si misurano giorno per giorno con il rispetto reciproco, il dialogo, la capacità di ascoltarsi, pur nella diversità.
Servono due maestre/i che si impegnino a dare il meglio di sé relativamente agli ambiti disciplinari di cui sono responsabili, mantenendosi aggiornati, confrontandosi con colleghi, sperimentando sul campo con i bambini, scambiandosi opinioni, esperienze, emozioni.
Se mi penso maestra unica, non mi vergogno a dire che attualmente, delle mie quattro e più discipline, non per tutte riesco a garantire la stessa preparazione. Non è solo una questione di tempo e di energie, è anche una questione di interesse e di piacere. Figuriamoci se ne avessi ancora di più!
Non ho parlato del tempo, dell’importanza di svolgere il lavoro in un arco di tempo che preveda un’alternanza di attività più impegnative e più rilassanti, più teoriche e più operative, di gruppo e individuali. Il tempo di 24 ore, per questo ordine di scuola, per questa età dei bambini, in questa situazione sociale per la maggior parte delle famiglie così complessa, è un tempo “mal ridotto”.
Chiudo con una riflessione: credo che il tempo di non insegnamento più proficuo (per me e per i bambini) speso con le mie colleghe sia quello dedicato allo scambio di osservazioni sui singoli bambini: esternare le osservazioni, i dubbi, i giudizi ad una collega significa anche ri-pensarli prima di esprimerli, oppure esprimerli con la curiosità di vedere cosa ne pensa l’altra, se li condivide, se li “contesta”, se ha altre/diverse osservazioni da affiancare. Ascoltando la collega puoi accorgerti che qualcosa ti è sfuggito, non hai colto, non gli hai dato peso, oppure il bambino non ti ha svelato di sé. Puoi scoprire che ti è mancato quello sguardo in più, per distrazione, per fretta, per fatica. Succede. Essere in due vuol dire che il bambino è più protetto. Ed essere protetto, quanto più possibile, è un diritto di ogni bambino.
Condividere le scelte educative di una classe in due (tempo pieno) o più (moduli) persone, progettare e lavorare insieme è un lusso che questo paese non può permettersi? Quali sono le priorità assolute? Il lavoro? Non lavoriamo per il futuro dei nostri figli? Il PIL? Non produciamo per i cittadini di domani?
Anna Sarfatti
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domenica 23 novembre 2008
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