martedì 21 ottobre 2008

Il mondo facile della politica format

di MICHELE SERRA

La campagna per il ritorno alla maestra unica, al di là dei propositi
contingenti di "risparmio", aiuta a riflettere in maniera esemplare sulle
ragioni profonde delle fortune politiche della destra di governo, e sulle sue
altrettanto profonde intenzioni strategiche. Sono intenzioni di semplificazione.
Se la parola-totem della sinistra, da molti anni a questa parte, è
"complessità", a costo di far discendere da complesse analisi e complessi
ragionamenti sbocchi politici oscuri e paralizzanti, comunque poco intelligibili
dall'uomo della strada, quella della destra (vincente) è semplicità.

La pedagogia e la didattica, così come sono andate evolvendosi nell'ultimo mezzo
secolo, sono avvertite come discipline "di sinistra" non tanto e non solo per il
tentativo di sostituire alla semplificazione autoritaria orientamenti più
aperti, e a rischio di permissivismo "sessantottesco". Sono considerate di
sinistra perché complicano l'atteggiamento educativo, aggiungono scrupoli
culturali ed esitazioni psicologiche, si avvitano attorno alla collosa (e
odiatissima) materia della correttezza politica, esprimono un'idea di società
iper-garantita e per ciò stesso di ardua gestione, e in buona sostanza attentano
al desiderio di tranquillità e di certezze di un corpo sociale disorientato e
ansioso, pronto ad applaudire con convinzione qualunque demiurgo, anche
settoriale, armato di scure.

In questo senso la proposta Gelmini è quasi geniale. L'idea-forza, quella che
arriva a una pubblica opinione sempre più tentata da modi bruschi, però
semplificatori, è che gli arzigogoli "pedagogici", per giunta zavorrati da
pretese sindacali, siano un lusso che la società non può più permettersi. Il
vero "taglio", a ben vedere, non è quello di un personale docente comunque
candidato - una volta liquidati i piloti, o i fannulloni, i sindacalisti o altri
- al ruolo di ennesimo capro espiatorio. Il vero taglio è quello, gordiano, del
nodo culturale. La nostalgia (molto diffusa) della maestra unica è la nostalgia
di un'età dell'oro (irreale, ma seducente) nella quale la nefasta "complessità"
non era ancora stata sdoganata da intellettuali, pedagogisti, psicologi, preti
inquieti, agitatori politici e cercatori a vario titolo del pelo nell'uovo. Una
società nella quale il principio autoritario era molto aiutato da una percezione
dell'ordine di facile applicazione, nella quale il somaro era il somaro,
l'operaio l'operaio e il dottore dottore. Una società che non prevedeva don
Milani, non Mario Lodi, non Basaglia, ovviamente non il Sessantotto, e dunque,
nella ricostruzione molto ideologica che se ne fa oggi a destra, è semplicemente
caduta vittima di un agguato "comunista".

In questo schemino, semplice ed efficace, la cultura e la politica, a qualunque
titolo, non sono visti come interpreti dei conflitti, ma come provocatori degli
stessi. Se la pedagogia "permissiva" esiste, non è perché il disagio di parecchi
bambini o la legnosità e l'inadeguatezza delle vecchia didattica richiedevano
(già quarant'anni fa) di essere individuati e affrontati, ma perché quello
stesso problema è stato "creato" da un ceto intellettuale e politico
malevolmente orientato alla distruzione della buona vecchia scuola di una volta.
Insomma, se la politica è diventata un format, come ha scritto Edmondo Berselli,
la sua parola d'ordine è semplificazione.

Per questa destra popolare, e per il vasto e agguerrito blocco sociale che
esprime, la complicazione è un vizio "borghese" (da professori, da
intellettualoidi, beninteso da radical-chic, e poco conta che il personale
scolastico sia tra i più proletarizzati d'Italia) che non possiamo più
permetterci, e al quale abbiamo fatto malissimo a cedere. Non solo la pedagogia,
anche la psicologia, la sociologia, la psichiatria, nella vulgata oggi egemone,
non rappresentano più uno strumento di analisi della realtà, quanto la volontà
di disturbo di manipolatori, di rematori contro, di attizzatori di fuochi
sociali che una bella secchiata d'acqua, come quella della maestra unica, può
finalmente spegnere. La lettura quotidiana della stampa di destra - specialmente
Libero, da questo punto di vista paradigma assoluto dell'opinione pubblica
filo-governativa - dimostra che il trionfo del pensiero sbrigativo, per meglio
affermarsi, necessita di un disprezzo uguale e contrario per il pensiero
complicato, per la massa indistinta di filosofemi e sociologismi dei quali i
nuovi italiani "liberi" si considerano vittime non più disponibili, per il
latinorum castale di politici e intellettuali libreschi, barbogi, causidici, che
usano la cultura (e il ricatto della complessità) come un sonnifero per tenere a
freno le fresche energie "popolari" di chi ne ha le scatole piene dei dubbi,
delle esitazioni, della lagna sociale sugli immigrati e gli zingari, sui bambini
in difficoltà, su chiunque attardi e appesantisca il quotidiano disbrigo delle
dure faccende quotidiane. Già troppo dure, in sé, per potersi permettere le
"menate" della sinistra sull'accoglienza o il tempo pieno o i diritti dei gay o
altre fesserie.

La sinistra ha molto di che riflettere: la formazione culturale e perfino
esistenziale del suo personale umano (elettorato compreso) è avvenuta nel culto
quasi sacrale della complessità del mondo e della società, con la cultura eletta
a strumento insostituibile di comprensione anche a rischio di complicare la
complicazione... Ma non c'è dubbio che tra il rispetto della complessità e il
narcisismo dello smarrimento, il passo è così breve che è stato ampiamente
fatto: nessuna legge obbliga un intellettuale o un politico a innamorarsi
dell'analisi al punto di non rischiare mai una sintesi, né la semplificazione -
in sé - è una bestemmia (al contrario: proprio da chi ha molto studiato e molto
riflettuto, ci si aspetterebbe a volte una conclusione che sia "facile" non
perché rozza o superficiale, ma perché intelligente e comprensibile). Ma la
posta in gioco è molto più importante del solo destino della sinistra. La posta
in gioco - semplificando, appunto - è il destino della cultura, degli strumenti
critici che rischiano di diventare insopportabili impicci. Se questa destra
continuerà a vincere, a parte il marketing non si vede quale delle discipline
sociali possa sperare di riacquistare prestigio, e una diffusione non solo
castale o accademica. Perché è molto, molto più facile pensare che l'umanità e
la Terra siano stati creati da Dio settemila anni fa (cosa della quale è
convinta ad esempio la popolarissima Sarah Palin) piuttosto che perdere tempo e
quattrini studiando i fossili e l'evoluzione. È molto più rassicurante,
convincente, consolante pensare che le buone maestre di una volta, con l'ausilio
del cinque in condotta e di una mitraglia di bocciature, possano mantenere
l'ordine e "educare" meglio i bambini ipercinetici, e consumatori bulimici, che
la televisione crea e che la propaganda di destra ora lascia intendere di poter
distruggere, perché è meglio avere consumatori docili (clienti, come dice
Pennac) piuttosto che cittadini irrequieti. È meglio avere certezze che
problemi.

È molto più semplice pensare che il mondo sia semplice, non fosse che per una
circostanza incresciosa per tutti: che non lo è. Il mondo è complicato,
l'umanità pure, i bambini non parliamone neanche. Se le persone convinte di
questo obbligatorio, salutare riconoscimento della complicazione non trovano la
maniera di renderla "popolare", di spiegarla meglio, di proporne una credibile
possibilità di governo, di discernimento dei principi, dei diritti, dei bisogni
fondamentali, diciamo pure della democrazia, vedremo nei prossimi decenni il
progressivo trionfo dei semplificatori insofferenti, dei Brunetta, delle
Gelmini, delle Palin. Poi la realtà, come è ovvio, presenterà i suoi conti,
sprofondando i semplificatori nella stessa melma in cui oggi si dibattono i
poveri complicatori di minoranza. Nel frattempo, però, bisognerebbe darsi da
fare, per sopravvivere con qualche dignità nell'Era della Semplificazione,
limitandone il più possibile i danni, se non per noi per i nostri figli che
rischiano di credere davvero, alla lunga, al mito reazionario dei bei tempi
andati, quando la scuola sfornava Bravi Italiani, gli aerei volavano senza
patemi, gli intellettuali non rompevano troppo le scatole e la cultura partiva
dalla bella calligrafia e arrivava (in perfetto orario) alla più disciplinata
delle rassegnazioni. Cioè al suo esatto contrario.


(24 settembre 2008)

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