Appunti su una scuola irriformabile
di Marcello Benfante
1. Delenda
Prenda questa ghinea e la usi per radere al suolo l’intera costruzione. Dia fuoco alle vecchie ipocrisie. Che il bagliore dell’edificio in fiamme faccia fuggire gli usignoli atterriti e invermigli i salici. E le figlie degli uomini colti danzino attorno al grande falò, gettando di continuo bracciate di foglie morte sulle fiamme, mentre le loro madri, sporgendosi dalle finestre più alte, gridano “Che bruci! Che bruci! Non sappiamo che farcene di questa istruzione!”
Virginia Woolf
Di scuola si parla e soprattutto si scrive molto. Il che spiega con quanta resistenza e malavoglia mi sia posto a stilare questa nota. Sarebbe forse meglio tacere, impegnarsi in un anno sabbatico di cessazione del chiacchiericcio.
Stranamente, c’è chi non ha questa sensazione. Domenico Chiesa e Cristina Trucco Zagrebelsky, curatori del volume collettaneo La mia scuola: chi insegna si racconta (2005, Einaudi), scrivono infatti nell’introduzione:
“Perché ascoltare gli insegnanti? Perché pubblicamente parlano poco, mentre molti parlano degli insegnanti. Politologi e psichiatri, sociologi e filosofi, politici ed editorialisti, allievi di ieri e di oggi. Le loro opinioni sono sempre più spesso registrate dai media. Gli oggetti, o meglio i soggetti, di questo interesse collettivo – gli insegnanti, per l’appunto – raramente riescono a esprimersi in prima persona in sedi che non siano la sala insegnanti, o un incontro sindacale, o una rubrica delle lettere di un quotidiano. Questo libro è un piccolissimo risarcimento per tale evidente squilibrio”.
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